un incidente di percorso

un incidente di percorso

Didattica a distanza e logica dell’emergenza di Alessandro Palmi

Un incidente di percorso

Dai primi tempi della pandemia, attraversando l’estate, vi è stato un cambio di acronimo, dalla DaD (didattica a distanza) siamo passati alla DDI (didattica digitale integrata) che poi in caso di chiusura della scuola ridiventa la classica DaD, però di fatto contrattualizzata. Questo introduce due distinti ambiti e due piani di lettura altrettanto diversi di questo fenomeno, che risultano mescolati all’interno della situazione emergenziale ma che, in prospettiva, si deve cercare di tenere ben separati nell’ottica di comprenderne gli effetti futuri. I due ambiti sono quello relativo al campo più strettamente pedagogico/didattico e quello relativo al campo contrattuale/normativo, che comprende anche gli aspetti di riorganizzazione del lavoro e di estrazione di valore.

I due piani di lettura, che risultano per forza di cose interconnessi, sono quello che si fonda sull’affrontare l’emergenza (più in generale su cosa significhi “affrontare l’emergenza”) e quello legato ai meccanismi di “ristrutturazione” e “riorganizzazione” che il capitale mette in atto in ogni snodo di crisi; ricordando che il capitale stesso se da un lato tende alla conservazione delle strutture di potere e dei meccanismi di valorizzazione, dall’altro non disdegna di sfruttare qualsiasi trauma o crisi per attuare salti di qualità ed ampliare, nella sua tendenza pervasiva, la possibilità di nuove modalità di valorizzazione.

L’ambito didattico e pedagogico

In ambito didattico si registrano diverse criticità; la prima è la constatazione di come non sia possibile considerare scuola, almeno per come dovrebbe essere intesa nel senso più nobile del termine, un sistema dove la relazione diretta tra docente e discente e la ricchezza delle relazioni trasversali nel gruppo vengono sostanzialmente azzerate. Questa criticità, che sembrerebbe ovvia, in realtà appare incompresa persino da una buona parte del corpo docente, troppi/e sono infatti i/le colleghi/e che semplicemente stanno cercando di riprodurre i “soliti” meccanismi presenti nelle scuole, tentando di riprodurre tutte le liturgie classiche e rischiando di finire intrappolati in un vortice di situazioni paradossali, a volte al limite del grottesco (imposizione di tenere accese le telecamere con mani e telefoni in vista, interrogazioni ad alunni/e bendati ecc…). Senza rendersi conto che, essendo cambiato il contesto, semplicemente non è possibile riprodurre meccanismi e relazioni che sono nati, si sono strutturati e consolidati in un contesto totalmente diverso; si tratta di un approccio che definirei “antiscientifico” o “antimaterialista”. Inoltre, la pretesa di riprodurre pedissequamente il modello classico attraverso la DaD soffre di un ulteriore vizio, sembra non tenere conto di quale sia la causa del cambiamento di contesto, che non è indotto o voluto dal sistema, non da una naturale evoluzione di processi in atto e neppure scelto dai partecipanti; ma è dovuto ad un evento traumatico di portata globale che è piombato sull’attuale organizzazione sociale come un tornado, in maniera velocissima ed imprevedibile.

D’altra parte, il tempo trascorso dall’inizio della crisi pandemica ha fatto giustizia anche di coloro che nei primi tempi hanno tentato di magnificarne le sorti; oramai nessuno tenta più di sostenere la DaD in quanto tale, è opinione corrente e diffusa che non funzioni e non possa funzionare e solamente la paura, indotta da una martellante azione dei media, la rende digeribile ad una grande parte di docenti. Chi ha sperimentato la DaD come docente ha vissuto la frustrazione di parlare con una sequela di palline colorate con una iniziale all’interno di quadratini neri, ha avuto spesso l’impressione di parlare da solo, ha subito l’assenza quasi assoluta di feedback ed in più, in mezzo a tutta questa alienazione, ha pure avuto spiegato che era “colpa” sua, che non sapeva sfruttare l’opportunità offerta dalle tecnologie e che, dunque, era inadatto ed incapace. Aggiungendo frustrazione a frustrazione, il suo lavoro veniva via via sempre più sussunto dalla macchina che diventava sempre più strumento di controllo.

Va comunque detto che, purtroppo, molti/e docenti non hanno dato buona prova di sé in questo frangente; troppo spesso abbiamo visto il semplice tentativo di riprodurre le solite dinamiche di potere esistenti nel gruppo classe in presenza, non a caso in molti/e hanno manifestato una nostalgia del “potere” indotto dal voto e la disperazione per le aumentate possibilità di “copiare”, mentre in altri casi si è vista una certa mancanza di empatia nei confronti di studenti e studentesse, dando per scontato che nessuno/a avesse problemi di connessione o che tutti/e avessero a disposizione stanze e pc per poter studiare, mentre invece si sa per certo che la maggioranza era costretta a connettersi con smartphone e che il sovraffollamento e la carenza di device adeguati erano molto comuni; tanto che i dati di dispersione e non raggiungimento in varie zone hanno superato il 30% del totale. Ovviamente l’atteggiamento del corpo docente è stato variegato, a fronte di coloro che hanno messo in atto i deleteri comportamenti citati ci sono stati/e tanti/e docenti che hanno cercato di mantenere i contatti, aiutare studenti e studentesse, lottato contro l’esclusione e il digital divide, cercando di comprendere ciò che stava loro accadendo.

In generale si può affermare che la riflessione sull’ambito didattico è stata approfondita in particolare dai discenti piuttosto che dai docenti; varrebbe forse la pena di aprire una riflessione più approfondita proprio dal lato docente, per cercare di capire come il cambio di paradigma contenuto nella DaD e nella DDI provochi profonde trasformazioni al ruolo stesso, che vanno ben oltre ad un semplice cambio di contesto didattico, ma che mettono in discussione la natura della prestazione lavorativa.

L’ambito contrattuale e normativo

Per quanto concerne il secondo ambito citato in premessa, è necessario fare molta attenzione a quanto sta avvenendo. Si può sostenere che se realmente si volesse considerare la DaD un mero incidente di percorso, determinato “solamente” dall’emergenza pandemica, non ci sarebbe necessità di fare assolutamente nulla dal punto di vista normativo, basterebbero le “pezze normative” che l’amministrazione ha già messo in atto per permettere una chiusura più o meno sensata del precedente anno scolastico. D’altra parte, i tentativi di contrattualizzazione della DaD e della DDI messi in opera tra estate e autunno non hanno risolto nulla, rimanendo fumosi e contraddittori.

Nelle fasi iniziali il corpo docente è rimasto schiacciato in una tenaglia formata da un lato dalla pretesa obbligatorietà automatica della DaD (che venne giustamente rifiutata) e dall’altro dal fatto che la situazione estrema del lockdown primaverile richiedeva comunque una presa in carico della situazione venutasi a creare; questa contraddizione ha bloccato il corpo docente in una sorta di doppio vincolo: non si poteva non fare la DaD in una qualche forma, ma non si poteva (doveva) accettare che venisse imposta. Questa contraddizione ha bloccato ipotesi di messa in discussione del modello imposto così come ha disarmato di fronte alle riunioni di Organi Collegiali ed a tutte le varie attività legate alla funzione docente; che credibilità e che prospettiva avrebbero avuto una dura opposizione a qualcosa che nei fatti si stava già facendo?

Attualmente la situazione è cambiata, messa alla prova dei fatti la DaD è entrata nel senso comune come un meccanismo che non funziona ed anche i pasdaran del “nuovo che avanza”, che avevano voluto vedere nella crisi una opportunità per “ammodernare” la scuola non hanno più lo spazio che speravano di avere, tanto che gli sforzi di normazione si sono mossi nella direzione di consolidare quanto concerne il nuovo acronimo DDI (didattica digitale integrata). Quindi la posizione di opposizione più forte potrebbe essere: non interessano gli aspetti burocratici, non si è interessati minimamente a regolare nulla di tutto quanto sta accadendo; perché deve essere chiaro che si tratta di un’emergenza, di una fase transitoria che deve terminare il prima possibile, che non si deve riproporre in nessuna maniera e non deve lasciare alcuna eredità. Sulla base di questa premessa ogni forma di regolamentazione o contrattualizzazione rischia di essere controproducente e di contribuire a legittimare e stabilizzare, anche in futuro, la DaD e la DDI.

Però è abbastanza evidente, e non va ignorato, che ci saranno tentativi di introdurre in maniera strutturale la DaD nella versione DDI all’interno della scuola; con questo ci si dovrà confrontare e su questo andranno costruiti analisi e strumenti per contestarla da un punto di vista teorico. L’opposizione la si dovrà sostanziare mettendo in campo analisi dei processi di valorizzazione e riorganizzazione del lavoro attraverso la macchina, opponendoci ad una società del controllo informatico dell’istruzione gestito dai big-tech, richiamando in campo il piano più strettamente didattico. Si dovrà esplorare con attenzione, anche su questo in rete è già reperibile materiale interessante, il ruolo delle piattaforme digitali private, senza dimenticare che queste hanno già messo al lavoro milioni di docenti e studenti che in questi mesi, in maniera totalmente gratuita, hanno fornito loro una enormità di dati, risultato di una gigantesca sperimentazione sul campo che ha permesso di mettere a punto le piattaforme stesse. Per non parlare dell’idea di mettere l’intero sistema di istruzione di una nazione, con tutta la sua messe di dati, in mano a multinazionali che hanno sedi in chissà quali luoghi del pianeta e che neppure pagano le imposte nel Paese stesso.

L’emergenza continua

Vale la pena inoltre confrontarsi sulla cosiddetta emergenza. Va da sé che il discorso sopra esposto, relativamente all’impossibilità concreta di eludere le attuali attività DaD, non può e non deve essere traslato automaticamente in situazioni diverse dal lockdown totale della primavera scorsa. È del tutto evidente che a un anno dell’inizio della pandemia non è ammissibile considerare ancora emergenziale la situazione attuale, questo indipendentemente dagli scenari della situazione epidemiologica. Occorre quindi fare estrema attenzione ai possibili tentativi di utilizzare il cosiddetto modello “shock” (cfr. Naomi Klein) per far passare attraverso risposte ad emergenze (vere o presunte, inattese o create ad arte) modifiche strutturali tese a restringere sempre più i diritti e gli spazi di libertà. Nei mesi estivi e durante l’autunno sia il governo centrale che le autonomie locali non hanno fatto assolutamente nulla per rendere le scuole più sicure; semplicemente si è scelto di non agire sulla base del fatto che sarebbe stato molto più semplice chiudere le scuole considerandole “strutture non essenziali e non produttive”; così è stato, con l’aggravante del patetico balletto messo in piedi dai presidenti di Regione interessati più a mettersi in mostra che ad affrontare realmente le problematiche.

Tutto questo ha portato ad un surrettizio allungamento dell’emergenza, imponendo una centratura della discussione sul tema scuole aperte/scuole chiuse, DaD sì/DaD no; oscurando altre tematiche che sono però molto importanti. Per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza e della chiusura delle scuole si è fatta parecchia confusione, da un lato si registra una carenza di dati ed una mancanza di trasparenza; non è dato sapere quanti siano stati i reali focolai o cluster imputabili alle scuole, non si sa quanti effettivamente siano i deceduti e i ricoverati in terapia intensiva tra il corpo docente e il corpo studentesco e quanti di questi siano realmente imputabili alle scuole. Le scuole, se opportunamente gestite, non sono un luogo più insicuro di tanti altri e possono, anzi, servire come valido elemento di controllo dell’andamento epidemiologico. Ovviamente, per fare questo occorre un vero e proprio cambio di paradigma rispetto a quanto fatto finora, servono investimenti e serve considerare la comunità scolastica come un luogo centrale di esercizio dei diritti e un’attività strategica da preservare e far andare avanti. In verità serve anche ridiscutere il ruolo e la funzione che il lavoro docente deve assumere, se viene equiparato ad un qualsiasi lavoro impiegatizio che può essere svolto in modo quasi indifferente in presenza o come smartworking, allora non vi è alcuna necessità di investire sforzi e risorse per aprire le scuole.

Risulta quindi chiaro come dietro l’apparente dicotomia scuole aperte/scuole chiuse si nasconde molto di più di un generico problema di sicurezza in un contesto emergenziale. Rimane poi lampante il fatto che, al di là delle dichiarazioni di facciata, reali attività volte a mettere in sicurezza le scuole si possono mettere in atto solo con le scuole aperte, solo in queste condizioni si possono mettere a punto le strategie più adatte, per esempio di tracciamento, e si possono attivare presìdi sanitari; con le scuole chiuse si può solamente aspettare che l’epidemia passi, senza porre rimedio alcuno a tutti i danni che le precedenti chiusure hanno già provocato e continueranno a provocare.

Le prospettive

Lo scontro ed il dibattito su scuole aperte/scuole chiuse, tende anche ad oscurare il discorso su cosa sarà della DaD e della DDI una volta terminata la crisi pandemica; ci sono due aspetti da evidenziare:

  1. Ragionare sul perché, a quanto pare, una buona parte del corpo decente e degli studenti delle superiori non sembra essere disponibile a lottare per ottenere l’apertura delle scuole in sicurezza.
  2. Capire cosa sottintendono affermazioni del tipo “non si deve tornare come prima” oppure che “non si deve perdere l’occasione offerta dall’introduzione della DaD e della DDI per trasformare la scuola”. I due punti sono collegati; se è vero che i soggetti coinvolti non sono disposti a battersi per aprire un luogo come le scuole, il primo pensiero che sorge è che a questi stessi soggetti di quel luogo non importi molto, o che comunque non sono disposti a lottare per averlo. Quindi il primo punto, se verificato, darebbe sicuramente forza e sostanza alla seconda affermazione: infatti se i principali soggetti che lo vivono non sono interessati al luogo scuola è evidente che questo ha necessità di essere cambiato.

Qui si aprono grandi quesiti che necessitano di analisi e approfondimento: Cosa indebolisce la scuola pre-covid? Perché tanta parte di chi ci lavora e di chi ci studia non è disposta a difenderla, a valorizzarla? Quali sono i progetti in campo che prefigurano la scuola post-covid? Non si è fatto altro che rideclinare come domande i punti precedenti; lungo l’asse che unisce le questioni sottese nelle domande, si cela una buona parte delle prospettive di intervento che ci possono essere nella scuola del futuro. In particolare, riferendoci al corpo studentesco, piuttosto che a quello docente per il quale la scuola è pur sempre un “luogo di lavoro”, si può notare una forte ambivalenza, tanto che attualmente si possono vedere i primi segni di un movimento che richiede la fine della DaD, ma anche proteste e scioperi della didattica in presenza; poi il dato quantitativo è che entrambi gli schieramenti sono assolutamente minoritari e la maggioranza di studenti e studentesse semplicemente non appaiono interessati/e al tema e non prendono alcuna posizione. Non si può approfondire il punto di vista studentesco in questa sede, si dovrebbero indagare i vissuti e le percezioni di studenti e studentesse che rappresentano una componente sociale che ha subìto un forte impatto dalle profonde variazioni della società nel suo insieme, basti vedere come si è evoluto il dibattito sulla condizione giovanile negli ultimi decenni. Tutto questo in una scuola che, a sua volta, è stata oggetto di trasformazioni profonde consistenti nello stravolgimento della funzione dell’istituzione e nell’asservimento alle logiche del mercato, senza dimenticare una politica di enormi definanziamenti e tagli. Questo, molto sommariamente, il percorso per giungere alla situazione pre-covid che ci consegna una scuola oramai sull’orlo del baratro, che ha perduto qualsiasi identità, all’interno di un processo di riorganizzazione ventilato nel Recovery plan. Su questa scuola già messa in ginocchio si è abbattuta la tempesta pandemica, in vista dell’uscita da questa contingenza si levano le voci del nuovo che avanza; ma attenzione, queste voci arrivano dai soggetti e dalle direzioni più disparate e tra le schiere degli “innovatori” si possono ritrovare tutti coloro che hanno portato avanti le pseudo riforme degli ultimi 20 anni, che non vogliono perdere l’occasione di accelerare la conversione di tutto il sistema scolastico nella direzione da loro auspicata.

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