PERCHE’ L’ALGORITMO NON FUNZIONA

PERCHE’ L’ALGORITMO NON FUNZIONA

14/09/2023

Per il terzo anno abbiamo osservato e sperimentato le assegnazioni delle supplenze tramite algoritmo. Non lo credevamo possibile, eppure l’esperienza di questo settembre è risultata essere ancora peggiore di quella degli anni precedenti, in quanto oltre ai consueti problemi già registrati in passato, che abbiamo più volte denunciato e che ripercorreremo anche nel corso dell’articolo, si sono andati a sommare enormi disagi dovuti alla sovrapposizione di queste procedure con quelle per le immissioni in ruolo. Sovrapposizione che è dipesa esclusivamente dalle scadenze fissate dal Ministero, con conseguenze importanti sulla vita di precarie e precari.

L’introduzione dell’algoritmo per le supplenze era coincisa con l’altro provvedimento che ha profondamente cambiato la gestione del precariato scolastico, ovvero la costituzione delle graduatorie provinciali per le supplenze, le GPS (OM 60 10 luglio 2020).

Come funzionava prima? Le supplenze venivano attribuite dalle GAE e, in caso di esaurimento o incapienza delle stesse, in subordine si procedeva allo scorrimento delle Graduatorie d’Istituto. Tutti coloro che non erano iscritti in Gae (molti, soprattutto nel Centro e nel Nord Italia) potevano ricevere chiamate per proposte di supplenza al massimo dalle 20 scuole in cui erano inseriti nelle relative GI. L’espressione “ricevere chiamate” va intesa in senso letterale: le prime settimane dell’anno scolastico, infatti, erano segnate dall’ansia di essere contattati dalle scuole tramite mail, ma più frequentemente con telefonate. Il cellulare squillava e la chiamata non doveva essere persa e soprattutto si sperava che fosse quella della scuola desiderata, anche perché una risposta affermativa o meno era richiesta in tempi immediati. Spesso ci si trovava ad accettare la prima proposta ricevuta, nella paura di non riceverne altre, magari di una scuola a 40 km di tortuosa distanza, mentre l’istituto agognato poteva non aver ancora iniziato a cercare i propri supplenti. Perché la situazione era questa: caotica, incontrollabile e ben poco trasparente.

Per questi motivi negli ultimi anni si erano cominciate a sperimentare pratiche diverse, talvolta richieste dai precari stessi (come nel caso del Coordinamento dei precari della scuola di Bologna nel 2016) che prevedessero l’assegnazione delle supplenze tutte in unico momento, con i docenti in presenza, divisi per classi di concorso e scaglioni di punteggio. Grazie a queste assegnazioni unificate, se non sempre si guadagnò in caoticità, tuttavia i precari ottennero molto in autodeterminazione e trasparenza. Tale dispositivo aveva tuttavia bisogno di essere normato, e restava il limite di scelta delle 20 scuole.

L’istituzione delle GPS rispose ad entrambe le esigenze: definì, almeno per le supplenze annuali, un momento di assegnazione comune a tutti gli istituti, dove, con quadro delle disponibilità alla mano e “dati costantemente aggiornati per dare conto delle operazioni effettuate” i docenti avrebbero potuto scegliere il proprio incarico sulle sedi di tutto il territorio provinciale.

All’avvio dell’a.s. 2020/2021, tuttavia, questa prospettiva, salvo in pochissimi casi, non poté concretizzarsi. Nella situazione pandemica di quel momento per effettuare le assegnazioni ogni ufficio scolastico adottò modalità differenti. Molti sperimentarono piattaforme informatiche, talvolta realizzate ad hoc, rinunciando alle convocazioni in presenza (sebbene talvolta gli stessi uffici organizzassero in presenza quelle del personale ATA). Fu un punto di non ritorno.

L’anno successivo fece il suo ingresso “l’algoritmo” tramite un’unica piattaforma certificata dal MIUR e proposta per tutto il territorio italiano. E da quel momento, l’assegnazione delle supplenze è tornata ad essere caotica, incontrollabile, e ben poco trasparente.

L’algoritmo per le supplenze, ha, nei fatti, un grande difetto: premia i docenti con punteggi più bassi. Questo accade perché il sistema scorre le graduatorie fino a che, incontrando le preferenze espresse dai docenti, non riesce ad assegnare tutte le supplenze. Se un docente non ha dichiarato la sua disponibilità per lavorare in una scuola per la quale il suo punteggio gli darebbe diritto a prendere una supplenza, viene “saltato”. Una situazione analoga a quando durante le convocazioni unificate l’insegnante sceglieva di non rispondere ad una proposta di assunzione. Tuttavia, al turno di nomine successive, l’algoritmo riparte dall’ultima persona assegnataria nell’operazione precedente. La norma, che nell’ultimo anno è stata oggetto di un grande dibattito, tuttavia non è nuova ed esisteva già anche nelle vecchie modalità di assegnazioni dal vivo. E allora com’è possibile che una regola tutto sommato secondaria nelle modalità in presenza sia diventata drammaticamente significativa nell’utilizzo di una piattaforma?

Questo è avvenuto perché il sistema algoritmico, con l’espressione delle preferenze a scatola chiusa, spesso senza avere nemmeno chiaro il quadro delle disponibilità e senza la possibilità di aggiornare le proprie scelte nel corso delle operazioni al variare di esso, ha incrementato significativamente il numero delle rinunce che si vanno a verificare. E dunque le riassegnazioni più in basso nelle graduatorie.

La tendenza delle assegnazioni tramite algoritmo a produrre rinunce e dunque “salti” nelle graduatorie è emersa con evidenza in questi anni, tuttavia, coloro che chiedevano un ritorno delle assegnazioni in presenza sono stati bollati come anacronistici al limite dell’oscurantismo. E al terzo anno di applicazione, non solo il Ministero non ha proposto nessun intervento, ma è riuscito addirittura ad orchestrare una situazione che ne ha fortemente incrementato le conseguenze negative.

Con un incredibile tempismo, infatti, quest’anno le procedure per l’espressione delle disponibilità per le supplenze sono state anticipate a metà luglio e sono state fatte coincidere con quelle di immissione in ruolo da concorso ordinario prima e da straordinario bis subito a seguire. I neoimmessi, mentre sceglievano le provincie e poi, a cavallo di un weekend, gli istituti, si sono trovati a compilare, per sicurezza personale, anche la disponibilità per le GPS. Quando, qualche giorno dopo hanno ottenuto una sede per l’immissione in ruolo non tutti hanno ritirato la propria disponibilità per le supplenze. Non solo è mancato un avviso ufficiale – le informazioni sono girate grazie ad un passaparola e alle segnalazioni di alcuni uffici scolastici – ma talvolta sono intervenuti problemi tecnici sulla piattaforma, e dopo una certa data l’opzione di ritiro è stata addirittura tolta.

La situazione si è chiarificata addirittura un mese dopo, quando a fine agosto gli uffici scolastici hanno pubblicato gli esiti delle assegnazioni da GPS ed è diventato evidente il fatto che molti posti erano stati assegnati a docenti che avrebbero rifiutato in quanto destinatari di incarichi a tempo indeterminato. Sotto di loro docenti “saltati” per mancanza di disponibilità. E queste supplenze falsamente occupate a chi sono andate? A insegnanti con punteggi più bassi, incontrati dall’algoritmo al secondo o terzo turno di nomine, mentre persone che lavoravano da anni non hanno ricevuto nessun incarico.

Da un certo punto di vista l’algoritmo funziona benissimo: per strappare un titolo propagandistico sui giornali di fine agosto basta che la procedura sia partita e che per ogni supplenza ci sia un nome. Si vuol far credere di essere stati veloci, ma non è vero, perché non appena i riflettori sull’avvio dell’anno scolastico verranno girati altrove, le rinunce e i salti porteranno a procedere con decine di turni di convocazioni fino a dicembre, come accaduto negli ultimi anni. Si prendono il merito di essere stati efficienti, ma in realtà il lavoro di compilazione è tutto sulle spalle dei precari, a cui va anche la colpa di “aver sbagliato a compilare le domande”. Si vuole dare la parvenza di giustizia e trasparenza, ma la verità è che per l’algoritmo un nome vale un altro, indipendentemente da graduatorie o storie personali e lavorative, senza spazi di autodeterminazione e rispetto del proprio lavoro. Ecco perché non funziona.

Silvia Casali  COBAS Scuola Bologna

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