Per una critica della crescita infinita: qualche spunto
di Alessandro Palmi
Il concetto di crescita obbligatoria è così radicato nel pensiero dominante che sviluppo e crescita sono considerati sinonimi in campo economico; l’unico modo in cui viene concepito lo sviluppo è attraverso la crescita.
Crescita che viene sempre e comunque intesa come crescita materiale di consumi, di flussi di materia ed energia, della produzione, dei servizi e della circolazione delle merci; con allargamento continuo delle basi materiali della produzione [delocalizzate] e occupazione e sfruttamento di tutti i luoghi del pianeta [frontiere].
Lo sviluppo è concepito come fenomeno di crescita lineare e illimitata, però avviene all’interno di un sistema finito; la Terra è termodinamicamente assimilabile ad un sistema chiuso, un sistema che scambia energia con l’esterno, ma non scambia materia.
Basta questa considerazione per capire come sia impossibile da sostenere un modello di sviluppo basato sulla crescita continua; questo è ormai assodato da gran parte del movimento ambientalista e confermato da innumerevoli lavori scientifici che dimostrano come l’attuale sistema- mondo abbia raggiunto, e in vari campi superato, i limiti materiali del pianeta erodendo gli stock di materia ed energia oltrepassando la capacità dei sistemi biogeochimici planetari di rigenerazione delle risorse e smaltimento dei rifiuti prodotti. Nella parola crescita si nasconde la legge di accumulazione continua del capitalismo e non il progresso dell’umanità.
Sono passati più di 50 anni dall’uscita del rapporto sui “Limiti dello sviluppo” del 19721, seguito da due aggiornamenti [oltre i limiti dello sviluppo e i nuovi limiti dello sviluppo] che hanno sostanzialmente confermato e consolidato quanto emerso nel primo rapporto.
Si è, inoltre, sviluppato un filone di pensiero ambientalista che, partendo da quello che viene definito il “lungo XVI secolo” [Braudel] e cogliendo la nozione di economia-mondo, ha analizzato come lo sviluppo del capitalismo nell’era moderna abbia innescato un periodo di sviluppo, incentrato dapprima sulla supremazia europea, che ha portato alla riorganizzazione globale su scala mondiale delle produzioni e dello sfruttamento delle risorse.
J.W.Moore2 e altri hanno dimostrato come questo “sviluppo” sia stato reso possibile attraverso l’appropriazione delle risorse naturali [beni gratuiti della natura] che ha permesso di mantenere un basso costo per i quattro fattori fondamentali per la crescita [four cheaps] precisamente cibo, materia prime, energia e forza lavoro; questo enorme processo di appropriazione della natura è stato alla base dell’accumulazione originaria ed è incorporazione nell’economia-mondo di nuove frontiere.
In primo luogo si è trattato delle frontiere geografiche in seguito alle esplorazioni e allo sviluppo della navigazione dove sono stati incorporati interi continenti, con saccheggio di tutte le risorse e messa a profitto dei territori attraverso il modello coloniale delle “piantagioni” con il suo seguito di genocidi e sfruttamento schiavistico.
Vi sono anche altre tipologie di frontiere in senso lato, come quelle geologiche delle energie fossili o come quelle agricole e tecnologiche; anche queste ultime sono state alla base dei processi di accumulazione come le “rivoluzioni industriali” e la cosiddetta “rivoluzione verde” in agricoltura, che negli anni 60/70 prometteva di sfamare tutta la popolazione mondiale grazie all’applicazione dei principi industriali alla coltivazione tramite monoculture, uso intensivo di prodotti chimici e meccanizzazione. Promessa che sappiamo essere stata disattesa portando all’attuale situazione dove grandi masse di popolazione vivono l’incubo della fame, mentre una porzione minoritaria è preda di gravi disturbi a causa di malnutrizione e/o sovralimentazione, con enormi sprechi alimentari.
Siamo quindi ad un punto in cui l’approccio dei “limiti” e quello delle “frontiere” appaiono facce della medesima medaglia e convergono nelle conclusioni: i limiti di carico del pianeta sono stati raggiunti e non vi sono altre “frontiere” da incorporare; questo modello non è in grado di soddisfare i bisogni della popolazione, sta attingendo a piene mani agli stock di risorse materiali mettendo in discussione le possibilità di sussistenza delle future generazioni.
Stante la situazione esistono tre posture principali: le forme più bieche di negazionismo integrale che stanno riprendendo fiatoni progetti politici dell’estrema destra, poi ci sono due modelli di negazionismo parziale che propongono scenari di uscita senza un cambiamento radicale del sistema politico sociale; si tratta di scenari che hanno una certa presa anche in alcuni settori ambientalisti che vengono abbagliati da pratiche di greenwashing molto diffuse.
La prima è quella che promette di superare l’attuale crisi grazie allo sviluppo tecnologico che permetterà di migliorare l’efficienza dei processi, risparmiare risorse materiali, energia e favorire il riciclo; si può dire che si tratterebbe di una nuova frontiera tecnologica con l’informatica e l’intelligenza artificiale in prima linea. Questo approccio, nel migliore dei casi ingenuo, sta già mostrando come non possa essere assolutamente efficace se applicato all’interno dell’attuale sistema economico sociale; basta considerare il cosiddetto effetto rimbalzo3 per rendersi conto di come ogni progresso tecnologico all’interno dell’attuale scenario non abbia mai sortito dal punto di vista ambientale gli effetti sperati.
Allo stesso modo si può osservare come lo sviluppo delle energie rinnovabili (o presunte tali) se inserito nell’attuale modello economico risulti inefficacie per ridurre i consumi fossili e, piegate a interessi speculativi, apra nuovi scenari problematici. Basti considerare il considerevole aumento di estrazione di materie prime necessarie all’uso di energie rinnovabili che non ha minimamente inciso sull’uso di fossili, anch’esso aumentato, si sono semplicemente sommate alle precedenti [cfr. la discussione su proposte di megaimpianti eolici o solari che presentano svariate criticità, esempio quello previsto per la Sardegna]
Va messo in discussione anche il secondo asse che possiamo riassumere nel mito dello sviluppo sostenibile, concetto coniato negli anni ‘80 che in sé pare avere una sua validità, ma che inserito nell’attuale sistema [dove quando si scrive sviluppo si legge crescita] non ha alcuna possibilità di risolvere le problematiche climatico-ambientali in assenza di una uscita dal sistema capitalistico; in quanto il vero problema non sta nel termine sostenibile ma si trova nel termine sviluppo/crescita.
La scienza economica, in verità ha ben poco di scientifico; concettualmente si trova ancorata ad una concezione meccanicista, il suo paradigma scientifico sta nella meccanica newtoniana del XVII secolo, dove non trovano posto la termodinamica, la meccanica quantistica e la relatività. È questa sostanziale arretratezza scientifica dei modelli economici che rende pensabili gli assurdi che stanno alla base di una crescita infinita in un sistema finito prima e il mito della circolarità poi, ignorando bellamente sia il secondo principio della termodinamica che i principi di conservazione; mito, quest’ultimo, che viene malinteso anche da parte del movimento ambientalista e che sta alla base di tutte le concezioni moderne di greenwashing e dell’ultima frontiera negazionista evoluta che viene definita “disaccoppiamento” [decoupling]4.
Non approfondiamo in questa sede, ma è sufficiente considerare il concetto di Entropia, per rendersi conto di come tutti i processi che avvengono lontani dalla condizione di equilibrio, siano in ultima istanza irreversibili e comportino sempre una perdita di materia [non riciclabile al 100%] e la degradazione di una quota di energia non più utilizzabile per gli scopi umani.
Da quanto detto discende che il modo per rendere realmente sostenibile lo sviluppo [non la crescita] sia quello di prevedere un modello alternativo all’attuale che riporti livelli di uso delle risorse e produzione di rifiuti all’interno dei limiti di capacità di assorbimento e rigenerazione del sistema biogeochimico planetario; possibile grazie al surplus di energia dall’esterno che il pianeta riceve dal sole.
In questo senso va inquadrato il concetto di decrescita [assolutamente non inteso come una società basata sull’attuale modello, ma senza crescita]; un modello sociale che esce dalla logica di mercato, dal consumismo, dagli attuali rapporti di produzione e getti le basi di una società fondata su nuovi rapporti sociali, con l’utilizzo accorto della tecnologia appropriata, l’abbandono dell’estrattivismo sfrenato, la sobrietà dei consumi; che sappia svincolare tra loro i concetti di sviluppo e crescita, dove lo sviluppo sarà inteso come progresso umano [per tutti/e] su basi di giustizia sociale, condivisione e convivialità, basato sul ben-essere e non sul ben-avere.
In questa prospettiva che si deve operare nelle scuole, dove sarà indispensabile, svolgere un lavoro profondo per dare nuovo significato ai termini della questione e dove sarà nostro compito battersi contro l’ondata di greenwashing e pseudo-ambientalismo. Così come sarà centrale opporsi alle aberrazioni che sono contenute nelle pessime linee guida5 per l’educazione civica che in campo ambientale riportano il discorso indietro di oltre 50 anni; possiamo sperare che tutto questo farfugliamento burocratico ministeriale non abbia ricadute concrete nelle scuole. Per noi deve essere chiaro che l’opposizione a questi contenuti e ideologia è una battaglia che dobbiamo essere pronti a combattere.
Riferimenti
1Da notare un interessante errore di traduzione presente nella prima edizione italiana, che conferma quanto detto in premessa, nel titolo il termine inglese “growth” (crescita) era tradotto in italiano con “sviluppo”.
2Ecologia-Mondo e crisi del capitalismo, fine della natura a buon mercato [Ombre Corte 2015] – Antropocene o Capitalocene [Ombre Corte 2019].
3Si consideri come l’avvento di auto più efficienti ha portato ad un aumento del traffico e dell’inquinamento in quanto circolano più auto e si percorrono più kilometri, così come l’avvento dell’informatica lungi dal portare a una diminuzione dell’uso della carta ne ha prodotto un aumento di consumo vista la facilità con cui si possono produrre documenti, l’argomento sarà approfondito in altro articolo.
4Su questo uscirà un articolo.
5 Basti pensare all’incipit del punto 2: È importante educare i giovani ai concetti di sviluppo e crescita… [si veda articolo a parte]
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